Il nome di Arrigo Dolso non dirà molto ai più. Sicuramente non dirà nulla ai più giovani e non sarà ricordato facilmente nemmeno dai più anziani.
Arrigo Dolso era un centrocampista molto tecnico che giocò ad inizio carriera nell’Udinese e nella Lazio. Iniziò la sua carriera da professionista nel 1964 e la concluse 20 anni dopo a 38 anni. Con i biancocelesti Dolso esordì in Serie A il 18 settembre 1966 nella partita contro la Fiorentina a Firenze. Giocò 6 anni nella squadra di Roma, intervallati solo da un’esperienza al Monza, collezionando 82 partite totali (68 in campionato, 8 in Coppa Italia, 2 in Coppa delle Alpi, 1 in Coppa delle Fiere e 3 in Coppa Mitropa). La carriera di Dolso, nonostante le indubbie potenzialità e le innate qualità tecniche però non sbocciò mai definitivamente. Non finì mai per giocare nel Real Madrid e nemmeno in una big del nord Italia. Una carriera tra Varese, Alessandria, Benevento, Trapani, Grosseto e Ravenna. In Serie A insomma solo 52 partite e 3 gol.
Allora stiamo parlando di un giocatore qualsiasi? Non esattamente. Arrigo Dolso aveva un piede sinistro che incantava. Ma doveva divertirsi. Lo spiega proprio lui nelle interviste a fine carriera:
“Ero innamorato della vita. Per me la vita è sempre stata pallone, musica e donne. Durante le partite, io il pallone non lo passavo mai…era più forte di me, ovviamente i miei compagni si arrabbiavano. Feci il militare con Zoff e Riva. Nelle partite in caserma, Riva non voleva mai stare in squadra con me: “Sei un fenomeno, ma non passi la palla”. La sera non riuscivo a restare a casa. Andavo al Piper. Sono cresciuto insieme con Patty Pravo e Rocky Roberts. E se non era il Piper, andavo in via Veneto. E se non era via Veneto, andavo ai concerti. Mi piacevano i Beatles, i Bee Gees, Mina e Adriano Celentano”.
Vita da bomber insomma. Anzi da precursore del bomberismo.
“Indossavo camicie a fiori d’estate e camicie a coste di velluto d’inverno. Quando arrivavo agli allenamenti, l’allenatore, l’argentino Lorenzo, mi sfotteva ‘stanotte in che complesso hai suonato?’. La musica era una mania. Come le donne. In sede mi arrivavano centinaia di lettere e io rispondevo a tutte le ragazze, fissando un appuntamento. E poi non sopportavo i ritiri estivi.Due settimane a correre per i boschi, forse è per questo che odio correre… Non ci facevano mai toccare il pallone! Io protestavo e chiedevo ‘quand’è che ci date l’oggetto misterioso?’, lo chiamavo così. E poi quella clausura, quelle costrizioni. Una volta arrivai in ritiro con qualche giorno di ritardo. A cena i compagni di squadra mi dissero, ‘Stasera, Arrigo, si va al cinema’. Mi portarono all’ultimo piano dell’ albergo, salimmo sul tetto e ci mettemmo a sbirciare le finestre del palazzodi fronte. C’erano delle ragazze. Mezz’ora dopo sentimmo un bisbiglio. Era il portiere dell’albergo che ci chiamava. Gli inquilini del palazzo di fronte avevano chiamato i carabinieri. Ciportarono nella hall e l’allenatore mi disse ‘Sei appena arrivato e già combini casini’”.







