L’allarme di Bellinazzo: “Con la nascita della Superlega Asiatica rischiamo l’impoverimento del nostro calcio”. Poi l’elogio a Maradona

Massimo esperto di economia sportiva, il suo blog Calcio & Business sul Sole 24 Ore è da anni un punto di riferimento per gli appassionati. Inoltre è anche opinionista su Radio 24 e ha scritto diversi libri. Parliamo di Marco Bellinazzo, giornalista e scrittore, nonché tifoso del Napoli, che abbiamo intervistato in esclusiva per parlare di varie tematiche inerenti al mondo del calcio e della finanza.

Chiamarsi Bomber intervista Marco Bellinazzo

Lo scrittore napoletano oltre a parlarci del suo ultimo libro “Il Napoli di Maradona. Il primo scudetto e l’ultima vittoria”, ci ha parlato anche di come si è evoluto il calcio negli ultimi anni e come si evolverà nei prossimi anni. Di seguito l’intervista completa:

Ciao Marco, di recente hai ripubblicato una versione aggiornata del tuo libro “Il Napoli di Maradona”, stampato per la prima volta nel 2012, quando l’allenatore era Walter Mazzarri, ora tornato sulla panchina azzurra, 11 anni dopo. Cosa ne pensi di questo suo ritorno e com’è cambiato il Napoli? 

Mazzarri rappresenta una costante cronologica in queste due pubblicazioni, anche se non sarebbe dovuto essere sulla panchina di questo Napoli. Chiaramente se le cose fossero andate diversamente non sarebbe lui l’allenatore, ma purtroppo nella storia del club ci sono momenti belli a cui si contrappongono, quasi repentinamente, momenti brutti. Quasi come se nell’anima napoletana ci fosse una sorta di mancanza di equilibrio, come in questa stagione. Si è passati dall’entusiasmo dello scudetto a una rassegnazione durante i mesi di Garcia. La stagione è iniziata nel peggiore dei modi e a dicembre si ha quasi la sensazione di avere lo scudetto scucito. In questi 20 anni, il Napoli con De Laurentiis ha avuto un’evoluzione costante, che negli ultimi 11 anni ha visto un’escalation importante a livello europeo. Un’evoluzione culminata nello scudetto e scandita da vittorie – che magari non si possono paragonare a quelle delle grandi del nord – ma rappresentano qualcosa di fondamentale nella storia del Napoli. Il club ha rafforzato la base economica e le proprie prospettive internazionali e in quest’ottica il giudizio non può che essere positivo. Ci sono però alcune mancanze relative a investimenti infrastrutturali nel centro sportivo e nello stadio, non colmate negli ultimi 20 anni. Questo è il vero tallone d’achille della gestione De Laurentiis”. 

Un parere sulla solidità delle casse del Napoli a dispetto di altri club con i bilanci sistematicamente in rosso? 

“Il Napoli ha rappresentato un unicum lo scorso anno tagliando di 20 mln il monte ingaggi e rinforzando la squadra in modo da vincere in modo indiscutibile. Difficile pensare a qualcosa di simile nel panorama europeo. Il club ha chiuso l’ultimo bilancio con il suo record di fatturato e di utili, in una stagione difficile da ripetere. In questo fatturato di oltre 360 mln si registra un progresso importante, il club sostanzialmente non ha debiti. In questo senso il Napoli ha una liquidità di 170 mln e questo rappresenta una sorta di polizza assicurativa in vista dei prossimi anni”.

Nel tuo libro ci sono tanti aneddoti di ex compagni su Maradona. Quale di questi ti ha colpito di più? 

“Più che un singolo episodio mi ha colpito l’insieme dei racconti, il ritratto che ne esce. Laddove potevano emergere crepe o elementi negativi da parte dei compagni, ho trovato un pensiero comune relativo alla qualità umane di Diego Armando Maradona. In questa direzione emergono le sue qualità di leader, di uomo buono ma probabilmente troppo fragile per reggere il peso del proprio io. Dai giudizi positivi sull’umanità di Diego e sul suo essere dalla parte degli ultimi e dalla parte di Napoli, viene fuori un ritratto che è andato anche oltre le mie conoscenze e aspettative”. 

Pensi che potrà mai esserci un altro Maradona a Napoli? 

“Non credo, quella di venire a Napoli era una scelta unica già allora, figuriamoci adesso. Oggi sarebbe impensabile l’idea di un campione che va a giocare in un club minore. All’epoca la Serie A era uno dei top campionati europei ma c’erano altre squadre in cui sarebbe potuto andare e in molti cercarono di dissuaderlo perché Napoli era considerata una città sporca. Lui invece fa una scelta unica e da qui nasce la fusione tra Maradona e la città, con Diego che ha un po’ vendicato una serie di ingiustizie e di sfortune legate alla malasorte relative alla città di Napoli, reduce dal terremoto e dal colera. Era una decisione di cui non essere orgogliosi, ma lui ha riportato quel sentimento e quella identità che hanno consentito di unificare la popolazione napoletana”. 

Nel Napoli di Maradona quanto hanno inciso i gregari? Hanno avuto un peso determinante o davvero Diego avrebbe potuto vincere con chiunque? 

“Il loro impegno è stato fondamentale, non sono gli ‘scappati di casa’ di cui parlava Cassano. Dopo il primo scudetto sono arrivati giocatori di grande qualità, Careca su tutti. Ma quelli che hanno accompagnato Diego fin dall’inizio erano giocatori che hanno avuto grande umiltà nel mettersi al suo servizio e aiutarlo in questo percorso. In quel Napoli alcuni hanno trovato un proprio riscatto come Bruno Giordano mentre altri hanno fatto le fortune della Nazionale come Carnevale e De Napoli. Uno dei punti di forza era l’ossatura di giocatori napoletani, molti dei quali prodotti del vivaio, tra questi Ciro Ferrara. Lo stesso Diego riconosceva l’impegno globale della squadra e quella armonia di gruppo che riguardava non solo il campo ma anche la società. Non a caso il libro si chiama proprio il “Napoli di Maradona”. 

La Saudi League ha monopolizzato l’ultimo calciomercato. Cosa ne pensi di questo esodo di molti top players europei in Arabia Saudita? 

“Si tratta di un fenomeno complesso, da analizzare, molto affascinante e molto pericoloso, che sta portando molti calciatori a giocare in un campionato non paragonabile a quelli europei, che nasce all’interno di un progetto geopolitico molto ampio e di ridefinizione dell’identità della nazione araba. Si tratta di un progetto politico, economico e culturale in cui il calcio sta giocando un ruolo primario come piattaforma identitaria, per cui questo non va letto come fenomeno a sé stante. L’importanza che riveste questo progetto va letto in un processo di ridefinizione degli equilibri all’interno del mondo arabo, tra modelli occidentali e presenza dell’integralismo religioso. Pertanto, questo dovrebbe indurre a una maggiore cautela nei giudizi e a leggere questo fenomeno con chiavi di lettura più ampie”. 

Nel 2014 con quasi 10 anni di anticipo pubblicavi Goal Economy anticipando il cambio di egemonia tra i Paesi che tengono le redini del calcio mondiale. Secondo te come sarà il calcio tra 10 anni? 

“Vedo una forte evoluzione asiatica, quella che doveva essere la Cina sarà l’Arabia Saudita. Ora si creerà la Superlega asiatica, a testimonianza di un spostamento di governance del calcio dall’asse europeo-sudamericano a un calcio più globalizzato, in cui anche il versante mediorientale sta giocando un ruolo importante. La Premier League è l’unico campionato che potrebbe avere la forza economica per resistere, ma per il resto temo che se il calcio europeo non troverà delle contromisure sarà sempre più impoverito. Sarà fondamentale capire cosa dirà la Corte di Giustizia Europea il 21 dicembre, quando ci sarà la sentenza sulla Superlega, che stabilirà se Fifa e Uefa possono ancora legittimamente esercitare un monopolio nell’organizzazione delle competizioni internazionali. La sentenza dirà molto su quello che sarà il futuro del calcio europeo e mondiale”.