Nuovo appuntamento con Remuntada, il nuovo podcast di Chiamarsi Bomber condotto dal giornalista Nicolas Lozito. In ogni puntata verrà chiesto agli ospiti come nasce la loro passione per il calcio e per lo sport, e loro ci racconteranno la loro vita ma soprattutto la loro “Remuntada” personale.
In questo episodio, dopo le interessanti chiacchierate tra gli altri con Francesco Gullo, Carlo Pellegatti, Sandro Sabatini, Max Corona, Gianpaolo Calvarese e Massimo Ambrosini, ospite del podcast è Davide Nicola, protagonista di una splendida salvezza sulla panchina dell’Empoli.
Davide Nicola si racconta a Remuntada
Questo il resoconto della chiacchierata tra Nicolas Lozito e il protagonista odierno del nuovo format di Chiamarsi Bomber, Davide Nicola.
Si inizia con la classica domanda: qual è stata la “Remuntada” più grande della tua vita?
“Io rifiuto il concetto di Remuntada perché fondamentalmente significa partire in svantaggio, quindi quando arrivo in un nuovo contesto lavorativo mi pongo degli obiettivi, delle sfide, sapendo di partire da un certo livello e dover arrivare ad un altro. Quindi non saprei dirti una Remuntada nello specifico. Ho affrontato un sacco di sfide con giocatori, società, collaboratori e tutte le persone che mi spingono a fare sempre del mio meglio”.
E allora come si fa di fronte ad una scalata enorme a rimontare?
“Io generalmente mi ascolto molto, cammino e ascolto il mondo e tutti i segnali che mi arrivano. Ognuno di questi segnali, e ognuna di queste situazioni fa scattare dentro di me un modo di pensare. E quando sono nella condizione di iniziare una nuova sfida mi trovo in una condizione ottimale, perché l’ho scelta: azzero tutto e mi focalizzo solo sul ‘come vorrei che andasse’ e sul cosa mi serve per raggiungere quello che voglio ottenere. Ci sono state situazioni particolari in cui l’aver ottenuto l’obiettivo mi ha dato una gratificazione incredibile, ma paradossalmente io questa gratificazione l’ho già spesa durante il percorso, tanto che una volta arrivato alla fine non sono così euforico, perché mi sono già goduto tutto prima.
Inutile parlarti del Crotone o della Salernitana. A Salerno è stato pazzesco, soprattutto aver potuto lavorare con Sabatini, professionista di una cultura non comune che ti stimola quotidianamente e a cui piacciono proprio le sfide”.

L’allenatore quindi deve essere anche psicologo?
“L’allenatore deve sempre dare una direzione, e non è una cosa semplicissima. L’allenatore che ascolta deve avere doti empatiche, deve avere la curiosità per le persone. Ritengo che io come allenatore non posso preoccuparmi dei problemi esistenziali dei giocatori, ma sono consapevole che sono persone, quindi condizionati dalle emozioni”.
Pillola rossa o pillola blu: rimanere calciatore per sempre o scegli comunque di diventare allenatore?
“Non scherziamo. Fare il calciatore è bellissimo, però a fare l’allenatore mi diverto talmente tanto… Mi piace partecipare sotto un’altra veste al raggiungimento di un obiettivo. Da giocatore non hai ben chiaro tutto il lavoro che c’è dietro, da allenatore hai una visione a 360 gradi”.
Perché ci sono così tanti allenatori italiani bravi?
“Io credo che in generale ci siano tanti bravi allenatori. La scuola italiana è sicuramente qualitativa, rispettata e stimata e dobbiamo esserne fieri. Il calcio ha attraversato diversi epicentri. Io ammiro tantissimi colleghi italiani, ma anche gli stranieri. Per non far torto a nessun connazionale vorrei citare Jurgen Klopp: quando lo guardo mi rivedo un po’ in lui”.

Come hai scoperto il calcio? E come il calcio ha scoperto te?
“È stata una cosa reciproca. Ho iniziato a giocare tardi, a 10 anni circa. Prima correvo: mio padre, ma anche mia madre mi portava a fare delle corse podistiche e vedeva che mi piaceva proprio correre, mi divertiva. Poi i miei genitori, anche per una questione di sicurezza, mi hanno portato in un campo di calcio, e da lì è partito tutto. Ho iniziato a giocare, mi invitò un compagno di classe dell’epoca. Mi piaceva e continuai a farlo.
La mia famiglia vedeva che vivevo lo sport in maniera molto competitiva, forse al secondo anno di professionismo hanno iniziato a pensare che poteva diventare una parentesi importante della mia vita. In questo sono stati bravi loro: io e le mie sorelle abbiamo ricevuto un’educazione fatta di valori saldi, ci dicevano che con l’impegno tutto era possibile, ma bisognava avere dedizione e passione. Personalmente mi sono resoconto che il calcio sarebbe potuto diventare un mestiere quando firmai il primo contratto. Comunque l’ho sempre vissuto come un grande gioco”.
Ti ricordi la prima espulsione? E i gol?
“Io mi definisco un giocatore sempre abbastanza corretto, anche se qualche espulsione l’ho subita, e quasi sempre nei derby, come Genoa-Sampdoria: arrivando dal settore giovanile del Genoa arrivavo forse sempre con una carica un po’ eccessiva. Di gol non ne ho fatti tantissimi, quindi certo che me li ricordo tutti: fare gol è una gioia talmente importante che quando accade dà una soddisfazione incredibile. Se ho le videocassette? Sì sì, ma anche di partite intere, anche se non le guardo: quando finisco un’avventura, sia da giocatore che da allenatore, io accantono e non ci penso più perché penso sempre alla prossima sfida. Se pensassi a ciò che ho appena fatto toglierei energie per ascoltare ciò che mi circonda”.
Come funziona la gestione dell’anno successivo ad una grande salvezza?
“Le difficoltà ci sono sempre per chi fa il nostro lavoro, e i risultati pesano il lavoro che fai, ma siamo noi allenatori in primis a volere i risultati. Io comunque azzero tutto, è un’altra avventura, un’altra storia, anche se tra la fine di una stagione e l’inizio di un’altra alla fine ci sono solo due mesi e mezzo. Io sono ancorato al presente, amo il presente, voglio vivere il momento senza portare la mente indietro o avanti”.
La bicicletta invece? Quei 1300 km che hai fatto un po’ di anni fa?
“Quelli hanno divertito tutti. Innanzitutto avevo dei compagni di viaggio che mi hanno fatto credere che davvero fossi in grado di poterlo fare. poi era una cosa divertente, era nata in modo talmente spontaneo… Nacque come una battuta, e io fui veramente felice poi di farlo veramente: è stata una delle più belle vacanze della mia vita, con amici in bicicletta per 10 giorni. Stupendo, qualcosa che è andato oltre il calcio”.

Domanda a bruciapelo: miglior giocatore che hai allenato?
“Come faccio a scegliere tra Pandev, Ribery, Romero, De Paul… Poi questi vengono citati perché li conoscono tutti, ma io ad esempio ho allenato Paulinho che secondo me è un giocatore straordinario per qualità, mezzi, professionalità. Ogni giocatore aveva delle qualità. Se oggi dovessi scegliere di allenare qualcuno sceglierei Sinner”.
Come si bilancia l’allenamento del singolo con quello del gruppo?
“Il calcio è uno sport di gruppo, di fatto noi ragioniamo già con un obiettivo di gruppo, ma siamo coscienti del fatto che il gruppo è formato da singoli. Il vantaggio dello sport di gruppo è che si condivide meglio. Si lavora comunque su binari paralleli, ma l’obiettivo del singolo non potrà mai prevalere su quello di gruppo”.
Se dovessi scegliere una squadra nel mondo da allenare?
“Anche qui potrei farti un elenco, ma ti dico il Liverpool perché c’è Jurgen Klopp, mi piace la sua mentalità, ma non so in caso non ci fosse lui se sarebbe la stessa cosa. Tutte le squadre ai massimi livelli sono comunque ambite dagli allenatori”.
Hai qualche rammarico? Un momento in cui ti sei arrabbiato troppo (o troppo poco)?
“Io cerco sempre di esser me stesso, quindi se mi viene da arrabbiarmi di più lo faccio. Rammarico? Difficile da spiegare perché non potendo tornare indietro non si può mai sapere se si poteva raggiungere un obiettivo cambiando qualcosa”.
Discorsi motivazionali? Li prepari, li scrivi, li pensi, li fai…
“Gli allenatori non sono degli sprovveduti. Noi prepariamo delle criticità, un allenatore deve far vedere il proprio operato, il proprio percorso, rendendo partecipi le persone che lo guardano. Io ho sempre guidato attraverso il mio modo di essere: non sarei in grado di preparare qualcosa e riuscire a mettere la passione nel dirla. Le conferenze nascono sempre da un’esigenza personale di comunicare qualcosa di importante”.
Quali sono i tuoi prossimi 90 minuti? La tua prossima partita nella vita
“La cosa che voglio è trovare un popolo da rappresentare e far vedere che la metodologia funziona. Solo a pensare di rappresentare qualcuno a me viene già la pelle d’oca, è una responsabilità ed un piacere. Non so quale sarà la mia prossima sfida, ma so che io me la sono già immaginata”.
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