Tra poco più di 24 ore l‘Italia scenderà in campo contro la Spagna per la seconda partita della sua campagna agli Europei di Germania. Una partita che potrà far capire il reale valore degli Azzurri, apparsi convincenti all’esordio con la vittoria in rimonta contro l’Albania.
Una gara, quella contro la nazionale allenata da Sylvinho, in cui uno dei più brillanti è stato Federico Chiesa, reduce da una stagione non proprio esaltante con la maglia della Juventus e al centro di tante voci di mercato.
L’esterno d’attacco bianconero ha rilasciato un’interessante intervista sulle colonne de L’Equipe, in cui ha parlato della sua carriera raccontando anche alcuni aneddoti riguardanti la sua infanzia.
Chiesa si racconta
“Ero un bambino introverso e timido“, ha dichiarato l’attaccante al quotidiano francese. “Mia madre mi iscrisse alla Florence International School e mi piacque molto. Ha avuto un impatto enorme sulla mia vita e sulla mia crescita come calciatore. Gli alunni provenivano da tutto il mondo, da tutti i continenti. Incontrare, conoscere e capire tante persone di culture diverse, confrontarsi con loro, mi ha aiutato ad aprire la mente e mi è stato molto utile“.
Papà Enrico e quel primo incontro con Buffon
“Sono cresciuto con il pallone, guardando mio padre giocare. Indossavo le maglie che collezionava. C’è questa foto di me bambino in braccio a lui in campo quando giocava nel Parma, o questo video di me che calciavo il pallone nel salotto di casa. Non ricordo quel periodo, ma c’è una storia che mi ha raccontato mio padre. Gigi Buffon venne a stare da noi e mi spaventò. Era un omone, massiccio, con questo sguardo, i capelli raccolti, non lo conoscevo, avevo paura di lui e mi sono messo a piangere“.
Essere figlio di…
“Nella scuola italiana, dai 6 ai 10 anni, conoscevano mio padre, quindi c’era un po’ il problema di essere figlio di una persona famosa e questo poteva attirare l’attenzione su di me. Ma nella scuola internazionale non sapevano quasi nulla di calcio, quindi non sapevano chi fosse o cosa avesse fatto. Non c’è mai stato quel peso, quella difficoltà di essere il figlio di… Il nome non è mai stato un peso da portare. Anzi, il contrario. I miei genitori mi hanno sempre permesso di giocare a calcio senza pressioni e di seguire il mio sogno in Serie A. E mi ha aiutato avere i consigli giusti e preziosi di un padre calciatore”.
“Sto tornando”
Dopo l’infortunio Chiesa sembrava non poter più tornare quel giocatore straripante di alcune stagioni fa. Quest’anno sembrerebbe però aver cambiato marcia: “Sono tornato molto vicino al livello a cui ero prima della battuta d’arresto. Ora si tratta di diventare ancora più forte. I “top”, i campioni, usano e sfruttano la loro determinazione e forza mentale per superare le difficoltà e migliorare”.
“Il posto in cui mi sento più a mio agio è l’ala. Ed è anche dove sento di rendere al meglio. Naturalmente, con l’avanzare dell’età, quando il calcio diventa un lavoro, il divertimento viene spesso messo da parte. E lo stesso vale per gli allenatori. Ci sono aspetti tattici, più pressione… Ma il calcio che gioco oggi è lo stesso che giocavo da bambino. Quando prendo in mano il pallone, mi diverto allo stesso modo. Mi piace ancora giocare, segnare, aiutare i miei compagni e dribblare. Quello che voglio è rimanere un top player per diversi anni, perché è questo che fa la differenza. Non sono una o due stagioni ai massimi livelli a segnare una carriera e a fare la differenza quando finisce. È la continuità e la longevità”.
Il “peso” della celebrità
“La celebrità è un piacere perché la vedo come un riconoscimento per il lavoro che ho fatto. Quello che ho dimostrato attraverso il calcio mi dà gioia e, in un certo senso, segna dei momenti della mia vita. Un giorno, all’aeroporto, una bambina si mise a piangere quando mi vide. L’ho presa in braccio e ho provato la stessa emozione. Mi sono detto ‘Se porto questa gioia andando là fuori, allora la fama è una cosa bellissima‘. In un certo senso, questo è il lato positivo. Ma non è la ragione principale della mia carriera”.
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