Quanto accaduto ad Edoardo Bove nei primi minuti di Fiorentina-Inter ha scosso tutto il mondo del calcio italiano. Scene del genere sono sempre più complicate da comprendere ed accettare, ma l’importante è che oggi il peggio sia passato e che il ragazzo possa intraprendere un graduale percorso riabilitativo con l’obiettivo di tornare a fare ciò che più ama: giocare a calcio.
In questo senso però, le fake news e la scarsa informazione hanno trovato terreno fertile sui principali social media. Proprio per questo, noi di Chiamarsi Bomber abbiamo voluto vederci chiaro.
Per comprendere meglio la situazione e le possibili conseguenze, abbiamo quindi intervistato il dottor Enrico Baldi – Cardiologo Aritmologo presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, oltre che membro dell’European Resuscitation Council (ERC). Di seguito le sue parole.
Da specialista ed appassionato di calcio, che effetto ti ha fatto vedere un episodio come quello di Bove in Fiorentina-Inter?
“Sono sempre immagini di impatto, soprattutto per il contesto. Purtroppo sono cose che possono accadere, ma in questi casi la preparazione fa la differenza. L’impatto visivo è forte, ma come si vede dalle immagini l’intervento tempestivo dei professionisti è stato essenziale. Ci sono determinati fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, ma cose del genere possono succedere anche a chi è super controllato”.
In parole povere, cosa potrebbe aver provocato tale situazione? Bisogna essere predisposti? C’entrano forse i troppi impegni?
“Premessa: dobbiamo distinguere tra infarto e arresto cardiaco, perché spesso sui mass media c’è confusione in questo senso – soprattutto nel contesto sportivo. L’infarto è quando l’arteria coronaria, che è uno dei vasi che portano sangue al cuore, si chiude; questo genera un’occlusione che non permette un apporto sufficiente di ossigeno al cuore, il quale continua comunque a battere. L’arresto cardiaco invece è la cessazione improvvisa delle funzioni di pompa del cuore, quindi il cuore batte in maniera inefficace o proprio non batte. Il 30% degli infarti si complica con un arresto cardiaco, quindi è giusto dire che ci sia una sovrapposizione tra infarto ed arresto cardiaco; tuttavia, ci sono moltissimi arresti cardiaci che non sono dovuti ad infarti del miocardio. In sostanza, nell’infarto la persona è cosciente e ha dolore, mentre invece nell’arresto cardiaco la persona è incosciente e non respira o la fa in maniera anomala.
Nel caso specifico di Bove, difficilmente si tratta di un infarto del miocardio, vista la giovane età. Le cause quindi possono essere essenzialmente due. La prima è di tipo congenito, ossia cardiomiopatie (malattie del muscolo del cuore), di cui una delle più frequenti negli sportivi in Italia è la ‘displasia aritmogena’, cioè una piccola malformazione di origine genetica dei ventricoli; la seconda invece è acquisita ed è la ‘miocardite’, ovverosia un’infezione del muscolo del cuore che può poi lasciare una cicatrice. Queste problematiche possono causare aritmie che portano poi arresti cardiaci fatali.
Ovviamente io da esterno non posso sapere esattamente quali di queste due cause sia quella responsabile. Non sempre è possibile prevenire questo tipo di situazioni poiché possono sorgere improvvisamente ad un certo punto della vita ed è impossibile effettuare ogni giorno controlli cardiaci così approfonditi, anche per gli sportivi. Sembra assurdo ma ci sono anche situazioni in cui non riusciamo a determinare una causa: forse perché oggi non abbiamo ancora le conoscenze sufficienti, oppure perché semplicemente il cuore non è un organo perfetto ed alle volte può andare fuori giri”.
Quanto incide la prontezza dei soccorsi in campo e quali sono i protocolli da seguire in questi casi? Cosa si può fare oltre a chiamare il 118?
“Sfatiamo un mito: nei primi minuti non è essenziale che ci sia un medico. La ‘catena della sopravvivenza’ ci dice che nei primi istanti è fondamentale l’intervento di chiunque sia presente, indipendentemente dal contesto sportivo o meno. La cosa importante da sapere è che ogni minuto che passa abbiamo il 10% di possibilità in meno di salvare quella persona, quindi dopo 10 minuti abbiamo virtualmente 0 possibilità di salvarla. Il tempo medio di intervento di un’ambulanza in Italia è di 10-11 minuti: sembra molto, ma in realtà ti assicuro che è veramente poco. Questo ci fa capire dunque un aspetto determinante: chi è sul posto deve intervenire, anche perché nei primi minuti il personale sanitario seguirebbe esattamente lo stesso iter di una persona comune con la rianimazione cardiopolmonare e l’utilizzo del defibrillatore.
Innanzitutto bisogna mettere in sicurezza la scena, poi valutare se la persona è cosciente e respira. Chiamarla per nome e scuoterla, poi verificare se il torace si gonfia o meno. A questo punto bisogna allertare subito il numero unico d’emergenza, cioè l’112. Mentre attendiamo i soccorsi dobbiamo iniziare il massaggio cardiaco premendo con due mani sul torace della persona cercando di arrivare ad una profondità di almeno 5 cm, con circa 100/120 compressioni al minuto. Appena possibile poi, bisogna usare il defibrillatore: è una macchina molto semplice da utilizzare, poiché ci guida in quelle che devono essere le nostre manovre di rianimazione e decide in autonomia se sia necessaria o meno la scarica elettrica a seconda della situazione della persona in arresto cardiaco. Andiamo avanti in questo modo finché non arrivano i soccorsi professionali oppure finché il paziente non riprende a respirare regolarmente.
Messaggio importante: in caso di dubbio, meglio iniziare subito le manovre di rianimazione cardiopolmonare. Se la persona non è in arresto cardiaco, non gli fanno male; ma se lo è, allora le sue probabilità di sopravvivenza cresceranno nettamente”.
Erroneamente sui social abbiamo riportato che a Bove è stata tirata fuori la lingua per liberare le vie aeree. Tale intervento potrebbe essere in realtà controproducente. Ci spieghi meglio?
“I giocatori chiaramente non sono preparati a queste situazioni, ma è assolutamente sconsigliato mettere le mani in bocca alla persona per distenderle la lingua. Per 3 ragioni. Innanzitutto per chi pratica la manovra, poiché se in quel momento la bocca si serra allora i denti hanno la forza per staccarne le dita. In secondo luogo, se mettendo le mani in bocca provoco delle lesioni, posso causare un’emorragia. Infine, è una manovra sbagliata poiché del tutto inutile: in questa situazione, è impossibile riuscire a prendere la lingua con le dita senza correre rischi. La manovra adatta per liberare le vie aeree è quella di estendere il capo della persona all’indietro”.
Defibrillatori cardiaci: cosa sono, come funzionano e quante garanzie danno a giocatori e club?
“Se abbiamo a che fare con una causa non risolvibile, allora la persona che viene curata e dimessa deve essere protetta. Come? Con un defibrillatore automatico impiantabile. Quello classico si mette sotto alla clavicola ed è collegato direttamente al cuore; questo è in grado di dare una scarica elettrica in caso di aritmia che ha causato l’arresto cardiaco. I sistemi più nuovi invece vengono posizionati sotto l’ascella con un catetere che scorre sotto pelle; questi sono la scelta ideale soprattutto per i giovani, ragionando nel medio-lungo termine. Questa seconda tipologia è quella che è stata impiantata ad Eriksen, ad esempio.
Ne esiste però un terzo tipo. Ci sono infatti situazioni intermedie in cui non sappiamo ancora come reagirà il cuore: in questo caso si utilizzano i cosiddetti ‘defibrillatori indossabili’: si tratta di veri e propri giubbottini removibili con elettrodi che registrano l’attività cardiaca e in caso di bisogno lanciano una scarica elettrica dall’esterno. Questo viene utilizzato in quei casi in cui si crede che possano risolversi nell’arco di qualche mese, nelle situazioni transitorie quindi, creando un ponte tra il primo arresto cardiaco e il momento in cui devi decidere se impiantare o meno un defibrillatore. Qualora si scelga questa strada, la persona dovrà stare un po’ di tempo a riposo senza fare attività fisica.
Garanzie? In Italia siamo molto protettivi. La legge italiana, e quindi la Lega Serie A, non permette ai giocatori di entrare in campo con un defibrillatore impiantato, all’estero sì. È comunque una scelta molto ponderata, perché nel caso di un calciatore questo strumento va a limitargli la carriera – almeno nel campionato italiano”.
C’è il rischio che gli ricapiti?
“Se la causa che ha portato all’arresto cardiaco non può essere risolta, il rischio c’è. Nel caso di Eriksen ad esempio hanno detto che la causa non era risolvibile, ma per permettergli di rimanere in salute era necessario installargli un defibrillatore sottocutaneo. Se dovesse riaccadere tra 10 o 20 anni, quello strumento gli salverà la vita. Nel caso di Bove, che è un ragazzo di 22 anni, devi essere veramente sicuro che l’episodio non riaccada per non installargli un defibrillatore; poiché se dovesse risuccedere e lui non dovesse avere un defibrillatore automatico impiantabile, significherebbe tentare di salvarlo nuovamente e questo non è detto che accada”.
Ultimamente episodi del genere nel calcio, e in generale nello sport, sono sempre più frequenti: che idea ti sei fatto?
“Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino un aumento significativo di arresti cardiaci nei giovani negli ultimi anni, né in Italia né nel resto del mondo. Semplicemente, con la presenza dei mass media, oggi veniamo a conoscenza di casi che in passato rimanevano in sordina. È solo quindi un aumento di notizie, non di casi.
Come prevenirli? Non c’entrano i troppi impegni per i calciatori professionisti. Bisogna cercare di prevenire determinate malattie che possono portare agli arresti cardiaci. In questo senso, l’Italia ha fatto scuola nel mondo, sia da un punto di vista dei programmi medici che degli strumenti diagnostici. Purtroppo però si verificano situazioni imprevedibili che poi possono trasformarsi in casi critici: l’unica soluzione è cercare di arrivare prima laddove possiamo prevenire”.
Raccontaci del progetto in collaborazione con l’Uefa
“L’European Resuscitation Council (ERC) ha unito l’Uefa e moltissimi professionisti medici con l’obiettivo di formare i giocatori internazionali nella campagna Get Trained. Abbiamo tenuto corsi e lezioni agli Europei per informare e preparare i protagonisti delle stesse partite, così da evitare eventuali drammi e salvare più vite.
Si tratta di un progetto molto interessante che si serve di campioni ed ex campioni di questo sport per diffondere questo messaggio: se anche loro sono preparati e consapevoli delle situazioni di rischio, allora chiunque veda partite o manifestazioni europee può esserlo. Se un messaggio del genere viene trasmesso da Haaland o da Henry è chiaro che i giovani li stanno a sentire.
Io stesso ho visto crescere questo progetto: speriamo venga sempre più ripreso nell’ambito delle prossime partite e competizioni europee. Credo che sia un’iniziativa che possa cambiare la storia dell’arresto cardiaco nel mondo dello sport”.
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