Padovano: “La mia Juve incuteva timore. Oggi il quarto posto non basta più. Yildiz come Del Piero? Calma…”.

Abbiamo intervistato in esclusiva Michele Padovano, ex giocatore di Juventus, Napoli e Genoa tra le tante. L’ex centravanti torinese ci ha parlato del suo trascorso da calciatore.

In carriera hai vestito, tra le altre, le maglie di Napoli e Juventus, condividendo lo spogliatoio con campioni del calibro di Del Piero, Vialli, Zidane, Zola. Chi ti ha impressionato maggiormente sia a livello tecnico che in termini di leadership? 

“Ho avuto la fortuna di giocare con tantissimi campioni, ma tra tutti quello che mi è rimasto più impresso sia come giocatore che in termini di leadership è sicuramente Gianluca Vialli. Avevo grande stima di lui e per me è stato un punto di riferimento. Era un leader incontrastabile sia dentro che fuori dal campo”. 

Hai giocato nell’ultima Juve che ha vinto la Champions League. C’era la percezione di poter arrivare in fondo a quel percorso all’interno dello spogliatoio?

“Assolutamente sì, c’era la consapevolezza di essere una squadra forte. Gli avversari ci guardavano con timore ed è la stessa sensazione che provavo, quando ho giocato in altri club, affrontando squadre di quel calibro, su tutte il Milan di Sacchi”. 

Michele Padovano con la Champions League
Michele Padovano con la Champions League

L’anno successivo, nella finale contro il Borussia Dortmund, cosa non ha funzionato?

“Non c’era la concentrazione dell’anno precedente e l’atmosfera era diversa. Peruzzi dovette tornare a Torino per la nascita della figlia e, in generale, c’erano diversi segnali che hanno fatto in modo che la squadra non arrivasse al 100%, sotto l’aspetto mentale, a quella finale. Eravamo i favoriti ma penso che non abbiamo affontatto la partita nel modo giusto: quando credi di aver già vinto il calcio ti punisce”. 

Sei arrivato al Napoli nell’estate ’91 dopo l’addio di Maradona: che ambiente hai trovato? Si sentiva il vuoto lasciato da una figura così importante? 

“A Napoli Maradona ha lasciato un vuoto incredibile e questa sensazione si percepiva. Devo dire, però, che Gianfranco Zola è riusciuto a sostituirlo alla grande. Napoli è una grande piazza, eravamo una squadra forte e per me è stata la prima esperienza in un grande club. Purtroppo ho avuto un infortunio che mi ha tenuto fermo 2 mesi e mezzo e probabilmente non sono riuscito ad esprimere tutte le mie qualità”.

Sei approdato al Napoli come un giocatore voluto fortemente da Maradona. È vero che fu lui a consigliare il tuo acquisto al presidente Ferlaino?

“Nella stagione precedente, con la maglia del Pisa, avevo fatto due grandi partite contro il Napoli segnando due gol. Al fischio finale Maradona venne verso di me dicendomi: ‘l’anno prossimo giocheremo insieme’. Quelle parole le ho risentite dentro la mia testa per tanto tempo. Di lì a poco arrivò la firma con il Napoli e, durante la presentazione, il presidente Ferlaino disse a giornalisti: ‘Cosa possiamo dire? L’ha voluto Maradona’. È un qualcosa di cui vado molto orgoglioso”. 

Hai giocato nel Pisa nella stagione 90-91, l’ultima del club toscano in Serie A. Che ricordi hai di quell’esperienza? 

“Di quell’esperienza ho bellissimi ricordi. Fu la mia prima stagione in Serie A, conclusa con 11 gol. Sono convinto che se non fosse stato mandato via Lucescu avremmo avuto buone chances di ottenere la salvezza. Purtroppo la squadra è retrocessa e questo è sempre un evento spiacevole”. 

Diego Simeone con la maglia del Pisa
Diego Simeone con la maglia del Pisa

Al Pisa hai giocato con Diego Pablo Simeone. Com’era il Cholo in campo? C’era già la percezione di un futuro da grande allenatore?

“Assolutamente sì. Arrivò al Pisa molto giovane e di lui mi colpì subito la personalità, a quell’età saper dimostrare un carattere del genere non è da tutti: una grande personalità abbinata a ottime doti tecniche. La sua carriera da allenatore non mi ha stupito, perché in lui si vedevano già qualità importanti”. 

 

Hai chiuso la carriera al Como, nel 2001, all’epoca in C1. Oggi siamo davanti a uno dei club più ambiziosi della Serie A. Quanto può crescere ancora questa squadra?

“Secondo me può crescere ancora moltissimo. Non mi stupirei se il Como facesse lo stesso percorso dell’Atalanta perché ha una proprietà importante alle spalle: una società ambiziosa che investe sui giovani e che mette nelle condizioni i giocatori di esprimersi ad alti livelli. Il fatto che Fabregas abbia rifiutato un club come l’Inter, per rimanere al Como, testimonia che si tratta di un progetto importante. Sono convinto che crescerà tanto e non mi stupirei se il prossimo anno conquistasse un piazzamento europeo”.

In carriera hai vissuto due stagioni all’estero con le maglie di Crystal Palace e Metz: che ricordi hai delle esperienze in Premier League e Ligue 1?

“Nonostante abbia giocato poco per motivi extracalcistici, della Premier League ho ricordi bellissimi. Un campionato fantastico, stadi sempre pieni e tifosi con una cultura sportiva invidiabile: quando siamo retrocessi, dopo aver perso 5-0 all’ultima giornata contro il Manchester United, i tifosi ci consolavano. Con loro si era creato un bel feeling e mi dispiace non essere riuscito a fare di più con la maglia del Crystal Palace.

Al Metz ho conosciuto persone meravigliose. Quando sono arrivato, prima ancora di firmare il contratto, mi ruppi il crociato in allenamento. Il presidente Molinari, che sento ancora oggi, mi è stato vicino nei moment più bui della mia vita e mi disse che avrebbe rispettato gli accordi di cui avevamo discusso. La gente che ho conosciuto al Metz avrà sempre la mia stima”.

Nel corso della tua carriera hai lavorato con diversi allenatori tra cui Lippi, Ranieri e Simoni: chi ti ha insegnato di più?

“Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa. Chiaramente, quando hai la fortuna di giocare in una squadra come la Juventus e di vincere dei trofei, non puoi che ricordare quello hai imparato lì. Con Marcello Lippi mi sono trovato molto bene e, nonostante non fossi un titolare, era bravo a gestirmi e a tenermi sempre sul pezzo. Ricordo una sua indicazione tattica: mi diceva di fare un passo avanti, e non indietro, quando avevano la palla gli avversari. Questa è una cosa che mi ha colpito molto ed è un insegnamento che mettevamo in pratica in campo”.

Un tuo parere sulla Juve di oggi: cosa manca ai bianconeri per tornare a vincere?

“La Juventus si sta rifondando, è ripartita con Giuntoli e Motta stravolgendo l’organigramma. Bisogna dare tempo a Tudor, a Comolli e ai nuovi dirigenti, per far sì che la Juve torni a vincere. I tifosi si aspettano questo e un club con questa storia non può permettersi di arrivare quarto ed essere soddisfatto. Al momento credo la squadra sia incompleta: manca un giocatore per reparto. Staremo a vedere che risposte darà il campo”.

Yildiz è stato spesso paragonato a Del Piero: è un confronto che ci può stare o è un paragone troppo azzardato?

“Credo sia il caso di andarci cauto con i paragoni: Del Piero ha fatto una grandissima carriera. Le qualità di Yildiz non si discutono e la fortuna di un calciatore è quella di poter giocare una squadra forte. Nella passata stagione ha mostrato le sue qualità a fasi alterne e staremo a vedere cosa riuscirà a fare da qui in avanti”.

Padovano parla del paragone tra Yildiz e Del Piero

Il Napoli parte favorito in vista della prossima stagione? Cosa ha dato e quanto può dare ancora Antonio Conte?

“Conte migliora tutti, ha la capacità di trasferire ai giocatori la sua idea di calcio, offensiva e organizzata. Credo che sia tra i pimi tre allenatori al mondo, perché riesce a dare quel qualcosa in più sia a livello tattico che motivazionale: è un manager a tutti gli effetti. Credo che la federazione non avrebbe dovuto farselo scappare perché è sempre un valore aggiunto”.

Nel 2006 inizia il calvario della vicenda giudiziaria: la condanna e il carcere. Un incubo durato 17 anni. Come hai vissuto quel periodo e cosa ti ha spinto ad andare avanti e a lottare? 

“La mia famiglia ha fatto la differenza: mia moglie, mio figlio e i miei genitori. Loro non hanno mai creduto a quelle accuse neanche per un momento, e mi hanno dato la forza per affrontare questa battaglia. Sono passati 17 anni, ma secondo me sarebbero bastati 17 minuti di buon senso per chiarire la situazione. Purtroppo in Italia la giustizia ha dei tempi biblici, pertanto ho dovuto trovare la forza per continuare a lottare. Sono stati anni difficili e senza il supporto della mia famiglia, la cui presenza è stata fondamentale, probabilmente non ce l’avrei fatta”.

In merito al periodo trascorso in carcere, hai parlato di una sorta di rito: la partitella domenicale. Che valore aveva per te quel momento?

“Giocare a calcio era la mia passione e quelle due ore rappresentavano un po’ un modo per sentirsi liberi. Io e il mio compagno di cella eravamo i due capitani e aspettavamo quel momento per tutta la settimana: era una sensazione meravigliosa”.