La Juventus torna da Firenze con un altro pareggio che pesa più di quanto il punteggio suggerisca. L’1-1 contro la Fiorentina non è soltanto l’ennesimo passo falso di una formazione che fatica a trovare una propria identità; è lo specchio fedele di una condizione che alla Continassa ormai nessuno può più ignorare. La produzione offensiva, per quanto apprezzabile a tratti, non si converte in vittorie, e in un campionato che non aspetta nessuno, ciò che conta sono i tre punti. Da troppe settimane, invece, la Juventus raccoglie soltanto briciole. La verità è che la squadra vive un limbo che dura ormai da anni, un periodo nel quale i bianconeri non sono più riusciti a incarnare l’immagine della Vecchia Signora capace di dominare, imporsi, imporre ritmo e intimidire gli avversari. Gli ultimi dodici mesi, poi, hanno accentuato la frattura tra ambizioni e risultati: una stagione disastrosa sul piano dei bilanci, seguita da una campagna acquisti che ha drenato risorse senza generare il salto di qualità atteso.
E in questo scenario già complesso, l’arrivo di Luciano Spalletti, chiamato a ricostruire dalle fondamenta un progetto tecnico allo sbando, non ha ancora invertito la rotta. I numeri, per ora, sono impietosi: troppi pareggi, poche vittorie, difficoltà persistenti nel gestire i momenti chiave. La Juventus crea, costruisce, ma non chiude. Il gol di Filip Kostic a Firenze ha illuso, ma la reazione viola ha rimesso tutto in discussione. È uno spartito che si ripete, quasi ossessivo: presenza territoriale sì, cinismo no. E mentre la squadra continua a inciampare, a Torino cresce un’altra ombra, ancora più ingombrante: quella delle spese. Perché se sul campo la resa è insufficiente, a bilancio gli esborsi degli ultimi due anni – prima sotto la guida di Cristiano Giuntoli, poi sotto quella di Damien Comolli – fotografano una dirigenza che ha investito tanto, troppo, senza ottenere nulla di paragonabile alle aspettative. Un quadro che contribuisce a rendere l’atmosfera rigida, gelida, come se il vento dell’inverno avesse già attraversato i corridoi del club.
Disastro Juve, Ravezzani: “Gestione scellerata di Elkann e Agnelli”
In questo contesto già teso, le parole di Fabio Ravezzani hanno agitato ulteriormente le acque, puntando il dito contro la gestione economica del club negli ultimi anni. Il giornalista ha commentato con durezza l’ennesimo aumento di capitale, evidenziando una sproporzione tra le risorse immesse e i risultati ottenuti. Lo spunto arriva da un’analisi di Maurizio Crosetti, che ha ricordato come dal 2019 ad oggi la Juventus abbia raccolto quasi un miliardo di euro in aumenti di capitale senza ottenere ritorni adeguati sul piano sportivo. Ravezzani ha amplificato il concetto, affermando: “Possiamo dire che la gestione di Andrea e John è stata scellerata? Un miliardo di euro per vincere pochissimo in 6 anni”. Un’accusa diretta, che investe sia Andrea Agnelli sia John Elkann, ritenuti responsabili di aver gestito un patrimonio enorme senza riuscire a trasformarlo in un progetto vincente. La critica non riguarda solo la stagione in corso, ma un intero ciclo caratterizzato da un rapporto squilibrato tra investimenti e rendimento.
Il nodo economico torna inevitabilmente al centro dell’analisi, perché i numeri danno ragione ai detrattori: con Giuntoli, la Juventus ha speso circa 200 milioni in due finestre di mercato; sotto Comolli, in pochi mesi, altri 110-140 milioni (nei quali però vanno contati i riscatti intavolati da Giuntoli). Risorse che, a oggi, non trovano riscontro nella classifica né nella qualità del calcio espresso. A Torino la sensazione è che il club stia attraversando uno dei periodi più complicati della sua storia recente: bilanci appesantiti, risultati inconsistenti, e un progetto tecnico che fatica a decollare. Le parole di Ravezzani non sono soltanto una critica: sono un monito. Spalletti si ritrova quindi nel mezzo, tra tifosi che gli chiedono il miracolo e una dirigenza che spera di aver ingaggiato un messia in grado di fare resuscitare, tra gli altri, David, Openda e uno spento Yildiz.








